L’ART
5 DEL DECRETO LEGGE RENZI-LUPI SUL “PIANO CASA”
E IL
DIRITTO AD ESISTERE
Esattamente
come accaduto per il lavoro (e cioè le “tutele progressive”
e “gli 80 euro” in più in busta paga forse un domani
mentre la precarietà e la fine di ogni diritto alla formazione
subito con il decreto legge Renzi – Poletti n. 34 del 20 marzo) lo
stesso ha fatto il Governo sul cd “piano casa” con il decreto
legge gemello Renzi – Lupi n. 47 del 28 marzo.
Ed infatti
le misure previste per fronteggiare l’emergenza abitative sono del
tutto vaghe, future, senza investimenti pubblici e basate sulla
solita fallimentare miscela di svendita del patrimonio immobiliare
pubblico, costituzione di “fondi di garanzia” (pubblici)
che andranno a finanziare programmi di edilizia popolare “in
convenzione con cooperative edilizie”, un altro taglio delle
tasse per i proprietari di immobili e la replica del cd “modello
Bertolaso” per le grandi opere con la deregolamentazione della
normativa urbanistica per l’Expo di Milano. Ma se sin qui siamo
alla solita politica degli annunci che avrà quale risultato solo un
ulteriore sostegno a costruttori e immobiliaristi e che ha
accompagnato da sempre la politica sulla casa in Italia, l’aspetto
veramente straordinario del decreto 47 è che sostanzialmente l’unica
norma immediatamente operativa nel nostro ordinamento dal 28 marzo è
quella prevista all’art. 5 che stabilisce come “chiunque
occupa abusivamente un immobile senza titolo non può
chiedere la residenza né l’allacciamento a
pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e
gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli
effetti di legge.”
E – se
si tiene conto di come notoriamente ad oggi decine di migliaia di
famiglie impoverite siano costrette a vivere in immobili occupati
abusivamente - non può non rilevarsi la beffarda ironia del
Presidente Napolitano che ha immediatamente controfirmato il decreto
rendendolo vigente con provvedimento che testualmente giustifica il
ricorso straordinario ed eccezionale al decreto legge “considerata,
in particolare, la necessità di intervenire in via d’urgenza per
far fronte al disagio abitativo che interessa sempre più famiglie
impoverite dalla crisi” (sic).
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Ma per
spiegare il “segno di classe” estremo a cui mai era giunto nessun
governo repubblicano occorre qui brevemente ricostruire l’evoluzione
del concetto giuridico di residenza.
E’ utile
precisare infatti che l’ottenimento della residenza è un completo
diritto soggettivo del cittadino che trova tutela e fondamento nei
principi generali dell’ordinamento e nella Carta Costituzionale.
Il
concetto giuridico di residenza è contenuto nell’art. 43 del
codice civile il quale dispone “ il domicilio di una persona è
nel luogo in cui ha stabilito la sede dei suoi affari e interessi. La
residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. La
distinzione operata dalla norma tra domicilio, inteso come sede degli
affari, e residenza, intesa come dimora abituale, è meritevole di
attenzione. Tale distinzione ha fatto il suo esordio nel 1865 con
il primo codice civile dell’Italia Unita, con la volontà di
riconoscere alla persona la possibilità di avere una sede personale
– la residenza appunto – distinta dal luogo in cui esercita gli
affari. Con tale scelta, confermata dal codice civile vigente che è
stato approvato nel 1942 , si decise quantomeno di equiparare il
profilo economico e quello personale ed affettivo, concependo il
domicilio come luogo di imputazione delle situazioni patrimoniali e
la residenza come luogo delle esigenze personali e di vita, dando a
queste ultime una rilevante dignità giuridica. L’emergere
nell’ordinamento del concetto di residenza va di pari passo cioè
con il passaggio da una società fondata sugli status, ad una società
caratterizzata dalla nozione di cittadinanza e dalla parità
giuridica fra cittadini propria dello Stato di Diritto.
Non a caso la prima legge anagrafica risale al 1791 nella Francia
immediatamente post rivoluzionaria ed uno dei passaggi fondanti della
nascita dello Stato Italiano è consistito proprio nella costruzioni
di un ordinamento anagrafico. E’ evidente che tale
distinzione presenta una dimensione qualitativa, poiché mentre il
domicilio attiene ad una condizione giuridica (elettiva) del
soggetto, la residenza qualifica una situazione di fatto, relativa
alla dimora abituale del soggetto. Ma il diritto all’accertamento
di tale fatto risulta di primaria importanza, poiché con il
riconoscimento della residenza implica numerosi diritti – e anche
degli obblighi - relativi alla condizione di cittadino
In primo
luogo, sancisce una sorta di diritto di affermazione dell’
esistenza, ovverosia di registrazione quale cittadino residente ai
fini di tutte le rilevazioni statistiche e alla distruzione delle
risorse e all’imputazione delle imposte. Senza contare che il
corretto censimento dei residenti è un aspetto dell’ordine
pubblico (ad esempio se crolla un edificio occorre sapere chi
potrebbe esservi sotto le macerie, ecc.)
In secondo
luogo, la residenza è precondizione dell’esercizio dei diritti
politici, con particolare riferimento all’iscrizione nelle liste
elettorali e la possibilità di esercitare l’elettorato passivo.
Senza la residenza non è possibile, poi, godere a pieno del
diritto alla salute in quanto è condizione per ottenere
l’assegnazione di un medico di famiglia e del diritto allo studio
in quanto è condizione dell’accertamento dell’obbligo
scolastico. Ed infine la “residenza legale” in Italia è
necessario requisito per ottenere la cittadinaza italiana ai sensi
dell’art.
9, lett. f), L. n. 91/92. Infine ogni
sussidio, agevolazione o servizio viene presuppone la condizione –
si ripete oggettiva - della residenza.
Alla luce
di tali considerazioni appare evidente il legame che corre tra la
residenza è l’esercizio di diritto fondamentali di portata
Costituzionale.
La
residenza, anzitutto, è legata all’esercizio dei diritti
fondamentali di cui agli artt. 2 e 16 Cost. della costituzione.
L’art. 2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo sia come
singolo sia come singolo “sia nelle formazioni sociali ove
si svolge la sua personalità” e l’art. 16 stabilisce che
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in
qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la
legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di
sicurezza.”
Inoltre,
tenendo conto che con il decreto Renzi – Lupi viene negato
anche il diritto alle utenze, la Costituzione tutela tutti i diritti
per il cui esercizio è funzionale la residenza sopraelencati (
diritto alla salute : art. 32; diritto allo studio art. 34; il
diritto alla distribuzione delle risorse e alla fruizione dei servizi
di welfare: art. 3; diritto ad una vita libera e dignitosa: art. 36
). Insomma con il piano caso di Renzi – Lupi non si esce solo
dalla Costituzione ma si torna indietro all’Italia preunitaria.
Va al
riguardo detto come – in effetti – norme simili negli effetti
siano state adottate dalle giunte leghiste per escludere i non
“nativi” presenti sul territorio ma tali provvedimenti sono
sempre stati annullati dal T.a.r. in quanto “è opinione comune
in giurisprudenza che la residenza di una persona è determinata
dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, ossia
dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e da quello
soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rilevata dalle
consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni
sociali; pertanto, qualora la residenza anagrafica non corrisponda a
quella di fatto, è di questa che bisogna tener conto con riferimento
alla residenza effettiva , quale si desume dall'art.
43 c.c., e la prova della sua
sussistenza può essere fornita con ogni mezzo, indipendentemente
dalle risultanze anagrafiche o in contrasto con esse” (T.A.R.
Lombardia Milano Sez. I, Sent., 20-12-2012, n. 3157, si veda anche
Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7730).
E ciò
infatti discende direttamente dalla normativa nazionale pregressa
(che, paradossalmente non è stata abrogata a riprova non solo
dell’odio di classe dell’attuale Governo ma anche della sua
totale impreparazione tecnica). Ed infatti la legge 1228/54
stabilisce che “è fatto obbligo ad ognuno di chiedere per
sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la
tutela, la iscrizione nell'anagrafe del Comune di dimora abituale”,
senza contenere alcuna limitazione relativa alla condizione abitativa
del richiedente. Il regolamento anagrafico (dpr 223/89) stabilisce
che “ per persone residenti nel comune si intendono quelle
aventi la propri dimora abituale nel comune”. Nella stessa
direzione si pone la Circolare del Ministero dell’Interno del
29/5/95 per cui “la richiesta di iscrizione anagrafica non
appare vincolata ad alcuna condizione, né potrebbe essere il
contrario, in quanto in tale modo si verrebbe a limitare la libertà
di spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio
nazionale in palese violazione dell’art. 16 della Costituzione”.
La circolare afferma, poi, che tale accertamento non implica una
“discrezionalità dell’amministrazione”.
E del
resto ciò spiega come la residenza sia stata sempre concessa in
alloggi di fortuna, quali roulette, tende, camper e immobili senza
titolo. E proprio perché la pubblica amministrazione si limita ad
accertare un fatto – la dimora abituale – e non a concedere uno
status che il dpr n 223/89 (regolamento anagrafico) all’art. 19
limita l’accertamento dell’ l’ufficiale di anagrafe “a
verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale”.
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Ciò
premesso, a seguito del decreto Renzi Lupi le “famiglie impoverite”
costrette a vivere in immobili occupati “abusivamente”
·
non potranno più votare,
·
non potranno più iscrivere i figli a scuola,
·
non potranno più accedere all’assistenza del
servizio sanitario,
·
non potranno più ottenere, se stranieri, la
cittadinanza italiana
E
per altro non potranno avere più l’allaccio alle utenze di acqua,
luce e gas e il tutto SENZA CHE SIA PREVISTA PER ESSI NESSUNA
ALTERNATIVA ALLOGGIATIVA se non, letteralmente, trasferirsi
sotto un ponte (ove essi – nuovo amaro paradosso –
continuerebbero ad avere il diritto alla residenza in base ai
principi giurisprudenziali sopra richiamati)
E ciò non
solo in contrasto con la nostra Costituzione – anzi con tutti i
principi cardine dello stato di diritto liberale precedente – ma
anche con la normativa comunitaria in materia prevedendo la Carta dei
Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (cd Carta di Lisbona) che
“con l’obiettivo di combattere povertà e esclusione sociale,
l’Unione riconosce e rispetta il diritto alla casa e all’housing
sociale, al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti
coloro che non siano in possesso delle risorse minime, in accordo
alle regole stabilite dalla legislazione Comunitaria e dalla
legislazione e pratiche internazionali” (Articolo 34.3 EUCFR).
Ed essendo per altro tali principi già sanciti dall’Articolo 13
della Carta Sociale dell’Unione Europea e sugli Articoli 30 (che
include l’obbligo a promuovere una serie di servizi, compreso
l’abitare) e 31 (che promuove l’accesso a un’abitazione di
standard adeguato per prevenire e ridurre il fenomeno della
homelessness nella prospettiva della graduale eliminazione della
stessa e l’accessibilità dei prezzi per coloro che non possiedano
le risorse necessarie).
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Con il
decreto Renzi – Lupi i poveri vengono espulsi dallo stato
diritto e privati del diritto basilare all’esistenza (in nessun
altro modo è definibile venire deprivati di acqua, luce,
riscaldamento, diritti di elettorato, assistenza medica,
diritto all’istruzione e alla cittadinanza italiana per gli
stranieri). E questo francamente non può essere accettato.
Il Forum
Diritti Lavoro
·
chiede quindi che venga messo nella piattaforma della
manifestazione del 12 aprile - come parte integrante alla lotta
al Jobs act di cui al decreto legge 34 del 20 marzo 2014 – anche
l’art. 5 del decreto legge n. 47 del 28 marzo.
·
E si dichiara disponibile, nei propri modesti limiti,
ad affiancare le famiglie che vivono in alloggi abusivi nella lotta
giudiziaria per affermare il proprio basilare diritto ad esistere.
Roma
4.4.2013
www.forumdirittilavoro.it
info@forumdirittilavoro.it
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