mercoledì 12 febbraio 2014

Quando l'ingiustizia si fa legge ribellarsi è necessario

Passano gli anni e i mesi, ma le parole dei governanti di turno che blaterano di un’imminente “uscita dalla crisi” non trovano mai riscontro nella realtà. Al contrario le nostre condizioni di vita peggiorano sotto i colpi di una “crisi” che si rappresenta esclusivamente come strumento d’imposizione di politiche di austerity, di precarietà, di privatizzazioni e di ulteriore devastazione dei territori.
 
I diktat della Troika, gli interessi delle banche, delle lobby finanziarie, dei potenti vengono oramai imposti, senza nessuna mediazione, da una governance totalmente asservita e screditata, che ora cerca persino di cambiare ulteriormente le regole del cosiddetto “gioco democratico”, per imporre saldamente a tutti e tutte, anche attraverso governi di estrema minoranza, il dominio e lo sfruttamento di pochi sulle nostre vite.
 
Di contro, in opposizione a tutto questo, tanti fronti di lotta nascono, crescono, si rafforzano, si intrecciano, si alleano e si contaminano tra loro per opporsi radicalmente al dilagare delle logiche di sfruttamento e profitto. In ogni angolo del nostro paese (e non solo), si moltiplicano esperienze di lotta per la casa, il reddito, il salario e i diritti, ci si organizza per difendere il territorio da nocività e devastazioni e al tempo stesso si affinano linguaggi, rivendicazioni e pratiche comuni.
 
Queste lotte sempre più spesso travalicano coscientemente i limiti angusti della legalità per ribellarsi e liberare “pezzo dopo pezzo” le nostre vite da questa feroce morsa. Sempre più spesso queste lotte e queste forme di illegalità incontrano una repressione accanita e in molti casi preventiva da parte dello stato. Accade per esempio a chi difende la casa da un pignoramento o da uno sfratto, a chi occupa per riconquistare il diritto all’abitare o per aprire un nuovo spazio sociale, a chi blocca la didattica in una scuola o in un’università, a chi lotta per il diritto alla salute, a chi impedisce che il territorio venga massacrato da una nuova speculazione. Accade a chi porta avanti la pratica del picchetto o altre forme di sciopero e di blocco dei flussi produttivi che entrano in contrasto con le norme e con gli accordi esistenti e quindi viene multato, precettato, denunciato o licenziato, come recentemente è accaduto ai lavoratori del trasporto pubblico, agli esternalizzati della ristorazione in sanità, a quelli della logistica, fino ai gravissimi arresti di Bologna. Sempre più spesso, dunque, le questioni sociali e le lotte vengono affrontate come mere questioni di ordine pubblico. Non solo. Chi lotta, chi esprime la propria rabbia e il proprio dissenso incontra una repressione giudiziaria sempre più tagliente e feroce. La mole di processi che si stanno abbattendo sui protagonisti delle lotte sociali in questo paese è impressionante. Come è impressionante il tentativo sempre più frequente di delegittimare le lotte sociali trasformando chi esige diritti in un “criminale estorsore” , in un “delinquente organizzato” o in un pericoloso “terrorista”. Dentro questo quadro, il processo ai compagni/e per i fatti di Genova 2001, il maxi-processo ai NO TAV e il processo per i fatti del 15 Ottobre 2011 rappresentano dei veri e propri laboratori di repressione del dissenso e del conflitto sociale.
 
La tempistica e le modalità con cui vanno avanti questi processi parlano chiaro e mostrano, infatti, che la questione è tutta di natura politica: in un paese in cui la “giustizia” dei tribunali è tradizionalmente lentissima, in cui guarda caso la criminalità padronale e i misfatti della “casta” vanno quasi sempre incontro alla prescrizione, i processi alle lotte sociali vanno invece avanti a passo di carica paralizzando letteralmente le attività di tribunali come quello di Roma e quello di Torino, con ritmi e una gestione delle udienze che riducono al minimo l’agibilità e il diritto alla difesa. Agli imputati di questi processi sono state inflitte e si vogliono infliggere, attraverso i procedimenti ancora aperti, condanne che hanno dell’incredibile per il loro accanimento e la loro sproporzione: consolidando la “riesumazione” di reati come quello di “devastazione e saccheggio” (direttamente importato dal codice Rocco e sempre più applicato in via ordinaria), o l’accusa di “terrorismo”, si vuole affibbiare condanne che possono arrivare a oltre 10 anni per una vetrina rotta durante un corteo o per  il sabotaggio alle macchine di un cantiere.
L’intento, tanto palese da risultare ovvio, è quello di terrorizzare e di annichilire, per mezzo di condanne esemplari, ogni soffio di ribellione e di alternativa allo stato di cose presenti. In particolare, nel giro di pochi mesi, dopo le già pesantissime condanne inflitte con il rito abbreviato, con un processo che rischia di finire sul guinness dei primati per la sua rapidità, si prevede si possa arrivare di nuovo a sentenza per ciò che è accaduto durante la manifestazione del 15 Ottobre del 2011 a Roma, mentre il maxi-processo NO TAV si avvia anch’esso velocemente alla conclusione del primo grado.
 
Chi è sceso in piazza nelle grandi giornate del 18 e 19 Ottobre scorsi, chi tutti i giorni  lotta per conquistare diritti negati, non può accettare che questa concreta minaccia si abbatta sulle lotte e sui movimenti sociali. Le importanti iniziative e manifestazioni che hanno generato e costruito il 19 Ottobre e i numerosi conflitti che ne sono seguiti, infatti, vogliono essere solo l'inizio di un’offensiva destinata ad andare fino in fondo. Per questo, rigettando qualsiasi tentativo di divisione fra buoni e cattivi, riteniamo necessario sviluppare un ragionamento che affronti il tema della repressione del conflitto sociale e del dissenso, costruendo passaggi comuni di riflessione e mobilitazione. Del resto, è oggi necessario affrontare e porre questi temi, per difendere la possibilità di sviluppo dei movimenti e quindi l’idea di una radicale trasformazione dell’esistente. Non dobbiamo vivere la “logica” repressione che si abbatte su chi non si piega e lotta per cambiare come qualcosa di ineluttabile e quindi da subire. Dobbiamo al contrario reagire, affrontando questo tema come elemento necessariamente integrante dei processi di liberazione che vogliamo, sempre con maggiore intensità, alimentare. Reagire alla repressione, dunque, rilanciando. Articolando un ragionamento complessivo che denunci e si contrapponga alle logiche del controllo sociale e che quindi ponga la questione drammatica del carcere come quella dei CIE, delle gabbie che rinchiudono (e a volte uccidono) le vite di tanti precari, abitanti delle periferie, migranti. Il tema delle leggi liberticide, a partire dalla Bossi-Fini ( e Turco Napolitano) e dalla Fini- Giovanardi, che insieme ai provvedimenti speciali colpiscono particolari categorie come i migranti e le tifoserie,   criminalizzano comportamenti sociali diffusi e limitano in generale le libertà civili. Il tema della sorveglianza diffusa e della militarizzazione dei territori. Che non dimentichi, affinché non accada ancora, le tante vittime dello stato, torturate e uccise nelle carceri, nelle caserme, nelle strade del nostro paese.
 
Il movimento NO TAV ha convocato per il 22 Febbraio un’importante giornata di lotta dislocata sul territorio nazionale, per riportare in piazza la solidarietà agli arrestati per terrorismo e rilanciare la lotta contro il Tav e il sistema delle grandi opere. Pensiamo sia doveroso raccogliere questo appello e assumere collettivamente questa giornata, anche come passaggio di costruzione di una mobilitazione nazionale concentrata a Roma.
 
Prevediamo, quindi, per Venerdì 14 Marzo una giornata di incontro e convegno nazionale e soprattutto, per Sabato 15 Marzo, una MANIFESTAZIONE NAZIONALE che attraversi le strade della capitale. Una mobilitazione che si collegherà politicamente alle iniziative che verranno prodotte nella giornata del 16 Marzo, ad  11 anni di distanza dalla “notte nera di Milano” in cui Dax venne assassinato per mano fascista. 
 
 
LIBERI TUTTI E LIBERE TUTTE

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