Passano gli anni e i mesi, ma le
parole dei governanti di turno che blaterano di un’imminente “uscita dalla
crisi” non trovano mai riscontro nella realtà. Al contrario le nostre
condizioni di vita peggiorano sotto i colpi di una “crisi” che si rappresenta
esclusivamente come strumento d’imposizione di politiche di austerity, di
precarietà, di privatizzazioni e di ulteriore devastazione dei territori.
I diktat della Troika, gli
interessi delle banche, delle lobby finanziarie, dei potenti vengono oramai
imposti, senza nessuna mediazione, da una governance
totalmente asservita e screditata, che ora cerca persino di cambiare
ulteriormente le regole del cosiddetto “gioco democratico”, per imporre saldamente
a tutti e tutte, anche attraverso governi di estrema minoranza, il dominio e lo
sfruttamento di pochi sulle nostre vite.
Di contro, in opposizione a tutto
questo, tanti fronti di lotta nascono, crescono, si rafforzano, si intrecciano,
si alleano e si contaminano tra loro per opporsi radicalmente al dilagare delle
logiche di sfruttamento e profitto. In ogni angolo del nostro paese (e non
solo), si moltiplicano esperienze di lotta per la casa, il reddito, il salario
e i diritti, ci si organizza per difendere il territorio da nocività e
devastazioni e al tempo stesso si affinano linguaggi, rivendicazioni e pratiche
comuni.
Queste lotte sempre più spesso
travalicano coscientemente i limiti angusti della legalità per ribellarsi e
liberare “pezzo dopo pezzo” le nostre vite da questa feroce morsa. Sempre più
spesso queste lotte e queste forme di illegalità incontrano una repressione
accanita e in molti casi preventiva da parte dello stato. Accade per esempio a
chi difende la casa da un pignoramento o da uno sfratto, a chi occupa per
riconquistare il diritto all’abitare o per aprire un nuovo spazio sociale, a
chi blocca la didattica in una scuola o in un’università, a chi lotta per il
diritto alla salute, a chi impedisce che il territorio venga massacrato da una
nuova speculazione. Accade a chi porta avanti la pratica del picchetto o altre
forme di sciopero e di blocco dei flussi produttivi che entrano in contrasto
con le norme e con gli accordi esistenti e quindi viene multato, precettato,
denunciato o licenziato, come recentemente è accaduto ai lavoratori del
trasporto pubblico, agli esternalizzati della ristorazione in sanità, a quelli
della logistica, fino ai gravissimi arresti di Bologna. Sempre più spesso,
dunque, le questioni sociali e le lotte vengono affrontate come mere questioni
di ordine pubblico. Non solo. Chi lotta, chi esprime la propria rabbia e il
proprio dissenso incontra una repressione giudiziaria sempre più tagliente e
feroce. La mole di processi che si stanno abbattendo sui protagonisti delle
lotte sociali in questo paese è impressionante. Come è impressionante il
tentativo sempre più frequente di delegittimare le lotte sociali trasformando
chi esige diritti in un “criminale estorsore” , in un “delinquente organizzato”
o in un pericoloso “terrorista”. Dentro questo quadro, il processo ai
compagni/e per i fatti di Genova 2001, il maxi-processo ai NO TAV e il processo
per i fatti del 15 Ottobre 2011 rappresentano dei veri e propri laboratori di
repressione del dissenso e del conflitto sociale.
La tempistica e le modalità con
cui vanno avanti questi processi parlano chiaro e mostrano, infatti, che la
questione è tutta di natura politica: in un paese in cui la “giustizia” dei
tribunali è tradizionalmente lentissima, in cui guarda caso la criminalità
padronale e i misfatti della “casta” vanno quasi sempre incontro alla
prescrizione, i processi alle lotte sociali vanno invece avanti a passo di
carica paralizzando letteralmente le attività di tribunali come quello di Roma
e quello di Torino, con ritmi e una gestione delle udienze che riducono al
minimo l’agibilità e il diritto alla difesa. Agli imputati di questi processi
sono state inflitte e si vogliono infliggere, attraverso i procedimenti ancora
aperti, condanne che hanno dell’incredibile per il loro accanimento e la loro
sproporzione: consolidando la “riesumazione” di reati come quello di
“devastazione e saccheggio” (direttamente importato dal codice Rocco e sempre
più applicato in via ordinaria), o l’accusa di “terrorismo”, si vuole
affibbiare condanne che possono arrivare a oltre 10 anni per una vetrina rotta
durante un corteo o per il sabotaggio
alle macchine di un cantiere.
L’intento, tanto palese da
risultare ovvio, è quello di terrorizzare e di annichilire, per mezzo di
condanne esemplari, ogni soffio di ribellione e di alternativa allo stato di
cose presenti. In particolare, nel giro di pochi mesi, dopo le già pesantissime
condanne inflitte con il rito abbreviato, con un processo che rischia di finire
sul guinness dei primati per la sua rapidità, si prevede si possa arrivare di
nuovo a sentenza per ciò che è accaduto durante la manifestazione del 15
Ottobre del 2011 a Roma, mentre il maxi-processo NO TAV si avvia anch’esso
velocemente alla conclusione del primo grado.
Chi è sceso in piazza nelle grandi
giornate del 18 e 19 Ottobre scorsi, chi tutti i giorni lotta per conquistare diritti negati, non può
accettare che questa concreta minaccia si abbatta sulle lotte e sui movimenti
sociali. Le importanti iniziative e manifestazioni che hanno generato e
costruito il 19 Ottobre e i numerosi conflitti che ne sono seguiti, infatti,
vogliono essere solo l'inizio di un’offensiva destinata ad andare fino in
fondo. Per questo, rigettando qualsiasi tentativo di divisione fra buoni e
cattivi, riteniamo necessario sviluppare un ragionamento che affronti il tema
della repressione del conflitto sociale e del dissenso, costruendo passaggi
comuni di riflessione e mobilitazione. Del resto, è oggi necessario affrontare
e porre questi temi, per difendere la possibilità di sviluppo dei movimenti e
quindi l’idea di una radicale trasformazione dell’esistente. Non dobbiamo
vivere la “logica” repressione che si abbatte su chi non si piega e lotta per
cambiare come qualcosa di ineluttabile e quindi da subire. Dobbiamo al
contrario reagire, affrontando questo tema come elemento necessariamente
integrante dei processi di liberazione che vogliamo, sempre con maggiore
intensità, alimentare. Reagire alla repressione, dunque, rilanciando.
Articolando un ragionamento complessivo che denunci e si contrapponga alle
logiche del controllo sociale e che quindi ponga la questione drammatica del
carcere come quella dei CIE, delle gabbie che rinchiudono (e a volte uccidono)
le vite di tanti precari, abitanti delle periferie, migranti. Il tema delle
leggi liberticide, a partire dalla Bossi-Fini ( e Turco Napolitano) e dalla
Fini- Giovanardi, che insieme ai provvedimenti speciali colpiscono particolari
categorie come i migranti e le tifoserie,
criminalizzano comportamenti sociali diffusi e limitano in generale le
libertà civili. Il tema della sorveglianza diffusa e della
militarizzazione dei territori. Che non dimentichi, affinché non accada ancora,
le tante vittime dello stato, torturate e uccise nelle carceri, nelle caserme, nelle strade del nostro
paese.
Il movimento NO TAV ha convocato
per il 22 Febbraio un’importante giornata di lotta dislocata sul territorio
nazionale, per riportare in piazza la solidarietà agli arrestati per terrorismo
e rilanciare la lotta contro il Tav e il sistema delle grandi opere. Pensiamo
sia doveroso raccogliere questo appello e assumere collettivamente questa
giornata, anche come passaggio di costruzione di una mobilitazione nazionale
concentrata a Roma.
Prevediamo, quindi, per Venerdì 14 Marzo una giornata di incontro e
convegno nazionale e soprattutto, per Sabato 15 Marzo, una MANIFESTAZIONE
NAZIONALE che attraversi le strade della capitale. Una mobilitazione che si
collegherà politicamente alle iniziative che verranno prodotte nella giornata
del 16 Marzo, ad 11 anni di distanza
dalla “notte nera di Milano” in cui Dax venne assassinato per mano
fascista.
LIBERI TUTTI E LIBERE
TUTTE
Nessun commento:
Posta un commento