Qualcuno si ricorderà che già nel 2009, quando Maroni non sapeva che pesci pigliare, Andrea e Fabio erano stati per qualche mese “sorvegliati speciali”. Ora questa mossa questurina raggiunge i nostri mentre si trovano ancora in carcere, una mossa parallela e preventiva, per premunirsi nel caso in cui la Procura torinese dovesse farsi venire qualche scrupolo garantista (cosa di cui, lo diciamo en passant e senza stupore, sembra non esserci pericolo) o non riuscisse a tenerli ingabbiati a sufficienza.
Già perché la sorveglianza speciale è, nell’economia repressiva, una trovata da massimo guadagno e minimo sforzo. Può raggiungere soggetti incensurati, può essere applicata anche solo sulla base di sospetti e senza episodi specifici accertati in sede giudiziaria e colpisce quei soggetti “ritenuti pericolosi per la sicurezza e per la pubblica moralità”. Una categoria in costante aumento, che fa sì che questa misura sia stata, negli ultimi anni, ampiamente utilizzata. Chi si trovi colpito da una tale misura non dovrà destare sospetti sulla sua condotta, dovrà restare a casa da una certa ora della sera a una certa ora della mattina, si vedrà revocare passaporto e a volte anche la patente e non dovrà mai partecipare a riunioni di qualsiasi tipo, o assembramenti pubblici.
Tassativamente vietato è, inoltre, l’incontro con pregiudicati o altri “sorvegliati speciali”. In altre parole, la sorveglianza speciale colpisce essenzialmente la vita che ognuno di loro ha scelto di vivere, gli amici e i luoghi che sceglie di frequentare. Con l’intento di nascondere sotto il tappeto quel conflitto sociale che, tira di qui e tira di là, fa capolino tra una strada e l’altra delle nostre città, che non fai in tempo ad arginare da un lato e ti riemerge dall’altro, sui sentieri di montagna o davanti ai cancelli dei Mercati Generali, o che ti blocca per tre giorni una città.
Vorremmo dire, al Questore come a chi lo muove, fin nei corridoi del Ministero degli Interni, che per questa misura “preventiva” è già, comunque, tardi. Che quella pace sociale che sono chiamati a gestire, una pace fatta di rastrellamenti nei quartieri, di soldati nelle nostre strade, di famiglie buttate in mezzo a una strada alle 7 del mattino senza tanti complimenti, non si preserva sorvegliando in maniera speciale un paio di compagni, per quanto generosi e intelligenti. Perché, in fondo, non c’è poi troppo di speciale in questa sorveglianza. A ben guardare, sorvegliati speciali sono gli “ospiti” di un Cie, i tifosi raggiunti dal Daspo, gli abitanti di un campo rom. Sorvegliati, sempre, siamo tutti, dalle telecamere vigili e silenziose che controllano i nostri spostamenti, dal ricatto di un contratto di lavoro, di un permesso di soggiorno o dall’ingiunzione di sfratto, nel “quartiere difficile” di una grande città o in una fetta di montagna militarizzata. Privati della libertà di muoverci dal prezzo del biglietto del tram come dai muri e dalle reti che delimitano zone off limits, e che spuntano come funghi. Che questa sorveglianza ha poco di speciale, perché normalmente colpisce un numero sempre più ampio di persone, che però non smette di oltrepassare le frontiere, danneggiare macchine della polizia (com’è successo di recente a Napoli dopo che un Carabiniere ha ucciso con un colpo di pistola un diciassettenne), rivoltarsi ed evadere da un Cie, bloccare traffico e Frecciarossa, occupare le case vuote.
In attesa di conoscere i dettagli di questa nuova richiesta questurina al Tribunale di Torino vi riproponiamo un contributo audio “tecnico” sulla sorveglianza speciale - con una nota di aggiornamento: la procedura è stata snellita e l’avviso orale non costituisce più l’anticamera necessaria per la sorveglianza speciale.
macerie @ Settembre 27, 2014
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