mercoledì 17 settembre 2014

Ripartiamo dai luoghi dove abbiamo agito il “possibile”

L’intero governo è al lavoro sul decreto legge “sblocca Italia” che dovrebbe essere varato nel Consiglio dei ministri del 29 agosto. I ministeri più impegnati sono quelli delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico (remember 12 aprile?). All’orizzonte semplificazioni burocratiche nell’edilizia privata, accelerazione nell’uso dei fondi Ue, piani di edilizia sostenibile ed efficienza energetica, incentivi ai privati per finanziare infrastrutture. L’idea è quella di mettere ulteriormente mano alla legge obiettivo (443/2001), una legge che secondo il viceministro Nencini va profondamente riformata per far ripartire grandi e piccole opere, nonché favorire la pianificazione di nuova edilizia residenziale, anche con la formula dell’housing sociale. Intendono ripartire da zero per affermare la necessità di nuovo cemento e di nuove infrastrutture. Per le opere si parla dell’alta velocità Brescia-Padova, della ferrovia Napoli-Bari e dell’autostrada tirrenica. Insieme a queste andranno finanziate le metropolitane di Torino, Milano, Roma, Napoli e forse poche altre città.

Quindi il governo marcia a tappe forzate verso il varo dei due provvedimenti per l’edilizia e le infrastrutture che chiudono il cerchio con i decreti già convertiti in legge nei mesi scorsi. Il Consiglio nazionale degli architetti e le associazioni dei costruttori si stanno dando un gran da fare per dare una fisionomia al provvedimento che sia conforme a desideri e possibilità di profitto per la rendita. Con molta intelligenza non parlano di consumo di suolo ma di rigenerazione urbana e di sostenibilità ambientale ed energetica.
L’assemblea dei costruttori ha sostenuto la necessità di un piano Marshall per non chiudere le aziende. I dati raccontano di un’edilizia tornata ai livelli del 1967 e di una lunga e profonda crisi, per questo Buzzetti, presidente Ance, pur apprezzando le iniziative del governo Renzi le giudica ancora insufficienti. Nel dare atto al governo di aver preso sul serio il problema del settore, i costruttori chiedono una politica di incentivi alla riqualificazione urbana, rifiutano di essere criminalizzati come coloro che hanno saccheggiato il territorio e le città, rilanciano strumenti di collaborazione pubblico-privato come il project financing, ma soprattutto invocano defiscalizzazione e credito di imposta.
Infine il capitolo immobili invenduti, almeno 200mila nel nostro paese secondo l’Ance ma almeno 400mila secondo altre fonti, sul quale si sta lavorando, sempre secondo Buzzetti, ad una soluzione innovativa. Non solo nella formula classica degli alloggi popolari, ma anche con quella più flessibile del cosiddetto housing sociale. Questa ipotesi di riconversione degli immobili invenduti andrebbe però limitata alle grandi città dove la tensione abitativa è più forte. Il fiato sul collo dei signori del mattone nei confronti di Renzi e Lupi prende forma anche nella quantificazione delle risorse necessarie per far ripartire l’edilizia nel nostro paese, chiedono il 3% annuo del Pil nazionale.
Quindi siamo di fronte ad una centralità assunta sia del tema casa che della questione urbana nuova ed eclatante. Fino a poco tempo fa l’agenda governativa disdegnava questioni simili e negava un’emergenza sempre più larga. Ora grandi opere, grandi eventi e politiche abitative diventano oggetto di provvedimenti significativi e decisivi nella nuova conformazione dei territori.
Tanti attori sono scesi in campo e importanti appuntamenti come la Biennale di Venezia, l’Eire di Milano e il Saie di Bologna mettono in evidenza il tema della rigenerazione urbana, dell’abitare, dell’ambiente e dell’energia. Dentro la crisi quindi si modella un’ipotesi economica che pone nuovamente al centro la rendita, contro il diritto al reddito di milioni di uomini e donne che vivono in questo paese.
L’esperienza di “Abitare nella crisi” non può non ripartire da qui. I censimenti dal basso, le pratiche di riappropriazione e l’opposizione a progetti ed eventi devastanti per le città e i territori, sono stati il sale dei nostri percorsi. Le tante e differenti esperienze cresciute dentro la difesa del diritto alla casa e al reddito oggi sono più mature. È vero siamo stati colpiti con durezza e ancora scontiamo la nostra generosità, ma non possiamo dire che ci eravamo sbagliati, anzi ci stanno sottraendo parole ed immaginario e questo non possiamo permetterlo.
Le comunità meticce che si sono formate dentro le occupazioni, nei quartieri, nei territori, hanno con precisione rappresentato la necessità che il riuso del costruito, la sua nuova fruibilità sociale e il deciso no ad ulteriore consumo e saccheggio del suolo è il nostro orizzonte. La battaglia contro il decreto Lupi, contro l’articolo 5 che aggredisce l’occupazione per necessità, contro gli sfratti, i pignoramenti e gli sgomberi. L’incontro con le lotte contro il Tav, il Muos, l’Expo, le grandi navi, le privatizzazioni e le dismissioni dei beni comuni e del patrimonio pubblico. Il confronto con l’esperienza referendaria per il diritto all’acqua e all’energia. La contaminazione vissuta con il sindacalismo conflittuale nella logistica e in altri settori del mondo del lavoro precario, intermittente, volontario, a nero. Il contributo di qualità proposto da esperienze come “genuino clandestino” che con perseveranza e lungimiranza hanno attraversato centinaia di spazi sociali e abitativi.
La lotta per la casa e le pratiche di riappropriazione hanno rappresentato per molti di noi una prima istanza di recupero di reddito, in forma indiretta. Altrettanto possiamo dire per quanto riguarda i percorsi parzialmente accennati sul diritto al trasporto pubblico gratuito, al rifiuto dei ticket sanitari, all’autoriduzione delle tariffe, alla contrattazione sociale nell’acquisto delle merci nei supermercati, nel libero accesso a spettacoli e concerti. Un terreno sperimentale di afferm/azione comune del diritto al reddito.
È chiaro che provvedimenti come l’articolo 5 intendono scardinare anche sperimentazioni di questa natura. Per questo dobbiamo ripartire dai luoghi dove abbiamo agito il “possibile”. Dalla Val di Susa fino a Palermo. Per continuare ad essere minaccia, dobbiamo coltivare le comunità del conflitto che si stanno generando con nuovi attivismi e differenti intrecci. Abbiamo colto nel segno quando ci siamo organizzati nella forma che ha prodotto il 19 ottobre 2013, ma questo ci ha lasciato segni addosso che ci devono far riflettere. Ripartire dagli spazi occupati e saper mettere in relazione questi con il conflitto sociale diffuso o in costruzione, non avviene solo con la soggettività che verrà sicuramente espressa, ma anche dalla capacità di saper comprendere l’ipotesi sviluppista sostenibile e securitaria che ha garantito il 41% a Renzi, e quindi darsi una strumentazione capace di rilanciare pratiche di riappropriazione e vertenze nei territori. Dentro uno spazio pubblico di confronto quale è “Abitare nella crisi”, possiamo dare una spinta non indifferente alla costruzione delle mobilitazioni autunnali.
Se consideriamo centrali i dispositivi di legge varati e che stanno per varare, e che saranno in effetti determinanti se come afferma Renzi “dobbiamo fare di più”, non possiamo non guardare con attenzione a ciò che sta per muoversi in edilizia. L’accelerazione sui fondi Ue, le semplificazioni radicali per i costruttori privati, la riprogrammazione della legge obiettivo, il finanziamento immediato di nuove grandi opere, la riforma dei porti, il piano aeroporti, gli incentivi per il project financing, la riduzione del ruolo delle sovrintendenze, il “piano città” e quello dei 6mila campanili. Tutto questo da settembre si aggiungerà ai decreti già convertiti in legge e il Cipe benedirà tutto con pacchetti sostanziosi di finanziamento e defiscalizzazione orientata proprio sul cosiddetto social housing in project financing. Una vera rivoluzione, che vedrà anche la nascita di sportelli per l’edilizia e la trasformazione delle conferenze di servizi, per la gestione del nuovo regolamento edilizio sugli standard.
Questa è una prateria che abbiamo incendiato con le nostre lotte. Non facciamoci spegnere! Paolo e Luca liberi subito! Tutte liberi!
Blocchi precari metropolitani

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