lunedì 14 ottobre 2019

Sulla morte di "Gidio"e sul carcere


La morte di Egidio Tiraborrelli dovrebbe far nascere parecchi interrogativi in questa città:
Non è normale morire a 82 anni in regime di carcerazione (la morte è avvenuta in ospedale ma Egidio era ancora a tutti gli effetti detenuto) incarcerato seppur malato grave con diverse patologie.
Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in cui è incappato Egidio, di cui siamo certi dell’assoluta buona fede, è considerato un reato tra i più gravi dell’ordinamento giuridico italiano tanto da non prevedere l’applicazione di misure alternative al carcere, viene infatti considerato reato ostativo. Come è possibile che la condotta di Egidio possa essere ritenuta assimilabile a quella di chi sfrutta il commercio di esseri umani o la tratta? La norma sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina come tutte le norme penali contro l’immigrazione hanno assunto evidentemente dei connotati politici pesanti, sul quale hanno giocato tutti gli schieramenti politici al fine di accaparrare il consenso di un elettorato confuso e messo in grado di non saper riflettere in merito a quelli che sono i veri problemi economici e sociali di questa società. Si arriva a punire con ferocia anche gesti di solidarietà e di mutuo aiuto che in altri momenti storici e in altre società non sono considerati reati. Questo uso per fini politici e classisti della legislazione (sempre più d’urgenza) non è una novità nell’ordinamento italiano ma ultimamente sta assumendo dimensioni surreali, basti pensare alle pene previste per i reati attribuiti a chi si trova a rivendicare tramite il conflitto sociale una più equa ripartizione delle risorse o un livello minimamente dignitoso di diritti sociali. Le pene comminabili a chi manifesta ricorrendo al blocco stradale, a chi è attivo nel movimento delle occupazioni a fini abitativo di immobili abbandonati, di chi manifesta con modalità diverse dalla classica sfilata di rappresentanza, così come sono state definite dagli ultimi decreti sicurezza, sono gli esempi eclatanti del livello repressivo che si vuole raggiungere per mantenere lo status quo.

La triste storia della fine di Egidio ci ha fatto conoscere ancor più da vicino l’assurdità del carcere e la sua brutalità: Egidio aveva bisogno quotidiano di un respiratore per l’ossigeno e il carcere disponeva di un solo apparecchio che i detenuti bisognosi si scambiavano. Con non poche difficoltà e solo grazie all’intervento dei volontari siamo riusciti a farne entrare uno in carcere. Non è mai stato possibile riuscire a vedere o parlare con Egidio pur essendo il nostro movimento l’unica famiglia che Egidio avesse a Parma. Se non fosse stato per i volontari noi e il fratello Amedeo non avremmo nemmeno saputo nulla della sua detenzione. Anche i tempi per la concessione dei domiciliari per gravi motivi di salute sono stati assurdi.
Un ultimo interrogativo lo poniamo rispetto alla reazione della città rispetto alla drammatica vicenda della morte di Egidio: nonostante la questione abbia assunto una rilevanza nazionale con diversi interventi da parte di riviste quotidiani, la stampa locale ha completamente ignorato la questione e questo caso di orribile legalità è passato sotto il completo silenzio dei mezzi di comunicazione locali.
Nel mese di novembre ci apprestiamo ad organizzare presso la Casa Cantoniera Autogestita di Via Mantova 24 un convegno sul reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con intervento di sociologi giuristi e attivisti
RETE DIRITTI IN CASA PARMA

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